Bisogna
riflettere su alcune caratteristiche peculiari dell'epoca in cui viviamo
e pensare ai problemi che cominciano a porsi come decisivi per i
prossimi due decenni fino e oltre il duemila; nel periodo cioè in cui
vivranno e raggiungeranno la maturità i giovani di oggi. A questa soglia
dello sviluppo storico si presentano probleni non solo del tutto nuovi,
cosa che è accaduta in varie epoche del cammino dell'umanità, ma di
portata tale da generare possibilità e pericoli straordinari e sin qui
impensati e impensabili.Dobbiamo innanzitutto al progresso continuo
delle scienze sperimentali le possibilità davvero inaudite e
straordinarie che si aprono per migliorare la vita del genere umano.
La nuova tappa della rivoluzione scientifica e tecnologica
La nuova tappa della rivoluzione scientifica e tecnologica è
sotto i nostri occhi, fa già parte delle nostre esistenze e per i
giovani di oggi costituisce, ormai, quasi una condizione naturale e
scontata. Ma proprio perciò occorre riflettere bene intorno alle
occasioni offerte dalla scienza per non smarrirne il significato e la
portata, per cogliere bene quali prospettive positive possono essere
aperte e quanto gravi siano, di contro, le limitazioni, le
contraddizioni, i rischi generati dai vincoli sociali e politici e da un
uso distorto delle scienze e delle tecniche. Mai come oggi la
conoscenza della costituzione della materia inanimata e vivente è giunta
sino ad individuare molti dei meccanismi più remoti del mondo fisico,
dei processi chimici, degli svolgimenti biologici. La ricerca pura ha
aperto il campo a progressi e a veri e propri salti di qualità nelle
applicazioni tecnico-pratiche. Emergono sopra ogni altra, in questi
anni, le possibilità offerte dalla elettronica - e poi dalla
microelettronica - nel campo delle comunicazioni, delle informazioni,
dell'organizzazione del lavoro nella fabbrica e nell'ufficio e nel campo
stesso della vita individuale e della vita associata.
Nuove risorse d'energia sono state scoperte ed esse sono tali
da poter annullare nel futuro l'incubo della fine delle risorse non
riproducibili. Sono stati inventati modi nuovi di trarre energia da
risorse riprodotte, a cominciare dall'energia solare.
Anche la disponibilità di altre materie prime e di alimenti può
trovare nuove possibilità in ricerche in atto e in altre che potrebbero
essere avviate per utilizzare pienamente e razionalmente le risorse del
suolo, del sottosuolo, dei mari e degli spazi.
E' pienamente vero quello che è stato detto nella relazione di
Fumagalli, e cioè che, vi sarebbero le condizioni, dal punto di vista
delle conoscenze scientifiche e tecniche, per iniziare a passare dal
regno della necessità a quello della libertà. Se volessimo davvero fare
una gara sui temi di chi abbia avuto storicamente ragione, dovremmo dire
che la storia ha dato proprio ragione a chi ha tenuto fede alla
speranza indicata dal Manifesto dei comunisti, alla speranza - cioè -
che avrebbe potuto venire un tempo in cui sarebbe stato possibile
all'uomo di dominare la natura e «l'azione propria dell'uomo» invece di
essere da questa sovrastato e soggiogato (Marx).
Ma non vi è soltanto il progresso tecnico-scientifico.
La storia di questo secolo
Se noi volgiamo lo sguardo alla storia di questo secolo - che
conclude il secondo millennio della forma di incivilimento cui
apparteniamo - scorgiamo straordinari progressi nella coscienza dei
popoli e delle persone umane che li compongono. Vi è stato,
innanzitutto, un risveglio da forme di soggezione secolare, di
esclusione, di avvilimento della parte più grande del genere umano.
Pensiamo a quello che era all'inizio del secolo la condizione dell'Asia,
dell'Africa, dell'America Latina ma anche di tanta parte del
proletariato e dei lavoratori nell'Europa e nell'America settentrionale,
per avere l'idea del rivolgimento radicale che si è venuto attuando. Un
rivolgimento peraltro, che non è stato il portato meccanico delle
trasformazioni scientifiche e tecnologiche. Queste trasformazioni hanno
generato condizioni nuove, ma vi sono state guerre, ci sono volute
rivoluzioni, lotte, sofferenze e sacrifici inauditi per arrivare là dove
siamo arrivati.
Il processo di liberazione dei popoli si è fondato sopra il
risveglio delle coscienze individuali di centinaia di milioni, di
miliardi di uomini. La partecipazione alla lotta non solo accende gli
animi, ma li dispone alla conoscenza, rendendoli protagonisti attivi di
un processo di mutazione. Non per caso la volontà dei conservatori e dei
reazionari di ogni latitudine e di ogni stampo, è innanzitutto quella
di tenere, o di rendere, passivi e conformisti le donne e gli uomini, ma
innanzitutto le giovani generazioni.
Insieme alle conoscenze generate dalla presenza nel generale
moto di innovazione e di lotta, a determinare una modificazione delle
coscienze, non mai così estesa e così rapida, è venuto uno straordinario
aumento della informazione che, pur dando vita anche a forme nuove e
più sofisticate di manipolazione delle coscienze, ha spezzato isolamenti
e chiusure talora antichissime e ha determinato per la prima volta
nella storia del mondo un autentica contemporaneità degli eventi.
Ridiscussi i ruoli dell'uomo e della donna
Da tutto questo è derivata anche la possibilità di ripensare i
fondamenti più profondi del nostro vivere in società, sino alla
ridiscussione dei ruoli storicamente assegnati agli uomini e alle donne.
Siamo oggi, con lo svolgimento dei nuovi movimenti femminili e
femministici, all'inizio - un inizio certo contrastato e pieno anche di
intime contraddizioni - di un mutamento nelle coscienze delle donne
destinato alle conseguenze più grandi. Non si insisterà mai abbastanza
sul fatto che il ripensamento della condizione secolarmente fatta alle
donne, lo sviluppo del loro movimento di liberazione e il superamento
dei limiti della concezione puramente emancipatrice - che consisteva nel
proporre alle donne l'imitazione del modello maschile - tutto questo
porta con sé una riconsiderazione generale della società, dei modi
stessi della sua trasformazione, e della politica.
Siamo dunque di fronte ad un balzo in avanti straordinariamente
grande nella storia umana e al dischiudersi di potenzialità sin qui
sconosciute o solo vagamente immaginate. Ma guai a non vedere che, nello
stesso tempo, si aprono dinnanzi all'umanità potenzialità negative
anch'esse mai prima esistite.
Il sorgere della questione ecologica
Il primo e più drammatico pericolo è costituito dalla
possibilità di giungere ad una guerra di distruzione totale. Per quanto
rovinose e sterminatrici siano state le guerre del passato, in
particolare quelle di questo secolo, mai si era profilata la possibilità
di un evento bellico tale da porre fine a ogni forma di sopravvivenza
dell'uomo su questa terra.
Contemporaneamente, l'uso irragionevole delle nuove tecniche e
uno sviluppo quantitativo imponente, ma incontrollato ha già determinato
non solo la possibilità, ma la minaccia concreta di rovine ecologiche
gravissime e irreparabili. L'allarme lanciato da alcuni tra i maggiori
studiosi contemporanei avverte sull'esistenza di danni crescenti per le
acque - i fiumi, i laghi, i mari - e per l'aria che respiriamo, per
l'atmosfera e per la troposfera che circonda la Terra. E' già vi sono,
purtroppo, i segni concreti e pratici di potenzialità distruttive
inaudite in processi apparentemente innocui o protetti: qui, a pochi
chilometri da Milano vi fu il caso di Seveso, dove la diossina fece
deserto; altrove sono stati i difetti di centrali elettro-atomiche e in
ogni parte si avvertono le conseguenze sulla natura e sugli uomini
dell'inquinamento crescente.
Grava poi sulla umanità l'incubo della insufficienza delle
risorse alimentari dinnanzi ad una espansione demografica senza
precedenti, mentre immense risorse vengono dissennatamente dilapidate e
mentre lo spreco dilaga nei Paesi ricchi. Cresce così il divario tra il
Sud e il Nord del mondo: un divario intollerabile per ragioni di
giustizia e foriero, se non avviato a essere superato, di esplosioni di
imprevedibile portata.
La disoccupazione dato strutturale
E tuttavia anche nei paesi ricchi, anche negli Stati Uniti, la
povertà, quella vecchia e quella nuova, non è stata vinta e la
disoccupazione o la inoccupazione, e l'emarginazione, colpiscono una
quota crescente di popolazione, innanzitutto di popolazione giovanile.
Nei paesi della Comunità europea occidentale e negli Stati Uniti si
sfioreranno questo anno i venti milioni di disoccupati. La inoccupazione
giovanile è divenuta un fatto endemico e strutturale, con conseguenze
umane gravissime: un frutto dovuto cioè non all'andamento del ciclo
economico, che può solo ridurlo o aumentarlo di poco, ma alle
caratteristiche di processi produttivi e di innovazioni tecnologiche
guidati dalla legge del massimo profitto.
Si esercitano sulle nuove generazioni fino dalla prima
adolescenza, sollecitazioni crescenti per il consumo, e in particolare
per nuovi consumi individuali. Si aumenta costantemente il loro
patrimonio di informazione, ma contemporaneamente non si riesce ad
assicurare ai giovani un tempestivo ingresso nel mercato del lavoro. Di
qui nasce una condizione che non è certo più quella, almeno nella
maggior parte dei casi, dell'estrema indigenza, (com'era ancora
nell'Italia che usciva dal fascismo), ma è sicuramente una condizione di
frustrazione profonda, causa non certo unica, ma non ultima di tante
forme di sbandamento.
Dinnanzi a minacce e pericoli non mancano e anzi sono ampie e
forti le risposte positive tra le vecchie e le nuove generazioni. E
tuttavia non si può mancar di vedere le forme molteplici di
incattivimento di modelli di violenza, di sopraffazione, di arbitrio,
sino alle forme degenerative estreme del terrorismo, della mafia, della
camorra e dei regimi repressivi di massa in tanti paesi del mondo.
In difesa della democrazia
Vi è anche chi teorizza che fenomeni come quelli del dilagare
crescente nel consumo della droga pesante oppure dell'estendersi della
criminalità organizzata, sarebbero uno scotto inevitabile per sistemi
democratici, dove sono garantite le libertà dei cittadini. Noi non lo
crediamo. Noi pensiamo piuttosto che nel presentarsi di questi mali si
manifesti non una inevitabile conseguenza dei sistemi democratici, ma
piuttosto una loro degenerazione profonda: una degenerazione dovuta alla
contraddizione sempre maggiore tra il carattere sociale della
produzione e le forme della conduzione economica, tra le motivazioni
egoistiche sostenute come molla della società capitalistica e il bisogno
crescente di solidarietà e di reciproca comprensione umana, tra il
permanere di zone vastissime di vecchia e nuova emarginazione e la
sfacciata opulenza, tra le prediche moraleggianti e i pessimi esempi
pratici dati proprio da molti di coloro che dovrebbero fornire il buon
esempio.
Non è dunque il sistema delle libertà democratiche che
determina i guasti e le contraddizioni della società in cui viviamo, ma
la incapacità di saldare libertà, giustizia ed efficienza.
Per il futuro dell'umanità
Di fronte a questi problemi che caratterizzano la nostra epoca,
sorgono dei quesiti urgenti. Quanti nel mondo - e come - pensano
davvero a problemi di questa natura, muovendo da un'analisi oggettiva e
da una visione che abbia al suo centro la preoccupazione per il futuro
dell'umanità?
E che cosa si può e si deve fare perché prevalgano le
alternative positive, quelle che vanno in direzione della difesa della
vita e della pace e della affermazione della giustizia nei rapporti tra i
popoli e all'interno delle nazioni?
Dobbiamo innanzitutto alla parte più umanamente sensibile del
mondo scientifico italiano e internazionale non solo l'avvertenza dei
pericoli gravi che l'umanità attraversa, ma anche i primi rilevanti
tentativi di indicare ai popoli e agli Stati le possibili risposte.
Ma non sono molti nel mondo i dirigenti politici, dei Governi,
dei partiti e di altri organismi sociali e politici che si sono
dimostrati capaci di pensare a questi problemi in modo non troppo
vincolato da puri e ristretti calcoli di Stato, di partito, di gruppo,
di difesa o affermazione di ristretti interessi.
Ciò mi sembra vero particolarmente in Italia. Non c'è bisogno
di ripetere per la ennesima volta che noi siamo rispettosi di tutte le
forze politiche democratiche e che non vogliamo dare lezioni a nessuno:
però non è possibile non avvertire in molti episodi della lotta politica
interna alle forze del Governo una ristrettezza di orizzonte e, talora,
un precipitare attorno a non nobili contese di interessa di parte, per
le quali si infiammano gli animi e si misurano i muscoli e le cosiddette
«grinte» (sulle quali ha scritto un bell'articolo il compagno De
Martino).
Vi è insomma una preoccupante diminuzione del tasso di saggezza
nei reggitori del nostro Paese e, per quanto si vede, nel mondo intero.
Conforta, va però detto, che sta crescendo il numero di esponenti
politici che cominciano a porsi e a porre alcuni dei problemi che ho
ricordato in tutta la loro drammaticità. Basta pensare, per quanto
riguarda il problema Nord-Sud, alle analisi e alle denuncie di Fidel
Castro e di Willy Brandt.
Vi sono inoltre organismi internazionali, istituzioni e
associazioni religiose (la Chiesa cattolica, le altre chiese cristiane)
che hanno lanciato allarmi, rivolto moniti e in molti casi promosso
iniziative.
Fra le forze che pensano ai massimi problemi cui ho accennato
c'è il Partito comunista italiano. Abbiamo molti difetti, ma non quello
di sfuggire all'analisi e al confronto con la realtà del mondo di oggi,
di non sforzarci di comprenderla in tutta la sua portata e di non
cercare di elaborare nostre proposte, di sviluppare iniziative, di
stabilire contatti e intese con tutte le forze che possono e devono
essere interessate a far marciare le cose nella direzione giusta.
Per un nuovo socialismo
Tutto ciò ha gettato i comunisti italiani in una impresa e in
una lotta quanto mai ardua e tale da esporli a incomprensioni e
polemiche, tanto da parte di correnti dogmatiche e conservatrici quanto
da parte di correnti opportunistiche e di adagiamento. Impresa e lotta
ardue, ma piene di fascino.
Non è cosa diversa o separabile da questa nostra ricerca la
nostra iniziativa per una concezione e realtà del socialismo, quello che
voi giovani comunisti avete chiamato giustamente un "socialismo nuovo".
L'esigenza di una concezione e di una strada originali non
deriva unicamente dalla constatazione di insufficiente e limiti altrui
(dei modelli di tipo sovietico e delle esperienze socialdemocratiche),
ma anche e innanzitutto dai problemi posti dall'età che stiamo vivendo,
dai processi di trasformazione materiale, dalla esistenza di
contraddizioni profonde, non prima conosciute.
Noi riscopriamo proprio così l'esigenza del socialismo inteso
come sforzo per una direzione consapevole e democratica dei procesi
economici e sociali, fondata sulla difesa e la pienezza di tutte le
libertà. Ci si risponde che il socialismo come lo pensiamo noi non
esiste e che quindi si tratta di una parola vuota. Qunado iniziarono le
prime rivoluzioni liberali le Costituzioni democratiche non esistevano,
ma non per questo parole come Democrazia e Costituzione erano parole
vuote.
Socialismo e democrazia
Se tutte le parole che esprimono nuovi bisogni per la società
fossero state considerate superflue, la storia propriamente umana non
sarebbe neppure cominciata. E' del resto del tutto falso che la parola
socialismo non sia venuta già esprimendo valori universali, così come la
parola democrazia. Nella idea socialista è compresa come essenziale la
necessità di forme consapevoli di direzione del processo economico al
fine di garantirne un equilibrato sviluppo e una maggiore giustizia
sociale. Il fatto che molte esperienze siano state manchevoli od erronee
non elimina il valore di queste esigenze. Non elimina cioè il fatto -
già segnalato politicamente da Togliatti nel memoriale di Yalta - che la
necessità di forme programmate di intervento pubblico nella economia
non può più essere in nessuna parte del mondo negata, neppure nei
sistemi capitalistici, così come non si può disconoscere il bisogno di
una più ampia giustizia sociale. La discussione sarà ed è su
l rapporto tra programmazione e mercato, tra spinta alla
eguaglianza e bisogno di differenze: ma questa è già una discussione che
implica l'idea della trasformazione sociale. Ecco perché noi non
pensiamo che possa essere definito moderno chi mette in parentesi la
parola socialismo oppure dichiara la santa crociata contro di essa. E'
vero perfettamente il contrario: è vero cioè che l'idea socialista e
comunista continua ad essere la giovinezza del mondo.
Ciò che si è venuto logorando sono molte delle esperienze
concrete che dimostrano i limiti, non solo pratici, di concezioni, di
posizioni maturate molto tempo fa, all'inizio del secolo. Per questo il
nostro partito si sforza di ammonire contro un uso dogmatico dei maestri
del pensiero, e dunque anche dei maestri del pensiero socialista.
Ciò non significa affatto sottovalutare i risultati
straordinari che hanno avuto la prima predicazione socialista, e poi il
passaggio dal desiderio e dal sogno di una società nuova sino allo
studio scientifico, con Marx, della struttura capitalistica della
società del suo tempo. E' da tutto questo che è emersa la prima
rivoluzione socialista, quella dell'Ottobre russo, le cui idealità e il
cui valore stanno scritti nella storia del nostro tempo. Quella prima
rottura innescò un processo storico nuovo, un processo che per grande
tempo fu portatore di grandi conquiste e di straordinarie conseguenze
nell'aprire una fase nuova di lotte per l'emancipazione nazionale e
sociale.
Una fase nuova
Oggi siamo in una fase nuova e diversa dello sviluppo della
lotta per il socialismo. Non da ora, certo, i comunisti italiani hanno
considerato superato il mito dei paesi di tipo sovietico, mito che pure
si costruì non a caso e che aiutò altre generazioni comuniste a far
fronte con onore ai propri doveri, mentre molti altri (anche se non
tutti) crollavano. Tuttavia questo processo si è ora completato.
Quei modelli di società e di Stato non solo - e da tempo - li
giudichiamo non trasferibili in paesi come il nostro. Si viene rivelando
la necessità che anche in quei paesi siano attuate riforme economiche e
politiche che invertano i processi di stagnazione e di involuzione in
atto in diversi di essi, processi che non possono certo essere
arrestati, con misure repressive gravi, come quelle adottate dai
militari in Polonia. Noi non pensiamo che si possa giungere a realizzare
e a difendere trasformazioni di tipo socialistico nelle società e negli
stati senza difficoltà, senza fatiche, senza contrasti e lotte. Ma vi è
solo una strada giusta per affrontare e superare ogni ostacolo:
appoggiarsi sul consenso e sulla partecipazione della classe operaia,
dei lavoratori e del popolo. La necessità del socialismo e di un
movimento per il socialismo riprende dunque forza come espressione delle
condizioni oggettive, materiali, del mondo di oggi e dei bisogni che
l'uomo di oggi chiede siano soddisfatti.
Al tempo stesso questa esigenza nasce da una opzione etica.
Scegliere contro l'ingiustizia
Se non si vuole che la giustizia prevalga sull'ingiustizia, non
si giunge alla scelta del socialismo, e di un socialismo nuovo. Chi si
rassegna all'ingiustizia, o l'accetta, o peggio la vuole perché ne trae
un vantaggio, compie altre scelte.
Questo non vuol dire, ovviamente, che solo chi sceglie
l'obiettivo del socialismo può operare per la giustizia, per la pace,
per la salvezza e il progresso dell'umanità. Non è così. Vi è anzi
un'altra grande necessità che oggi riprende vigore: quella di un
incontro e di una collaborazione tra tutte le forze che, muovendo dalle
ispirazioni più diverse, sanno, vogliono, possono farsi interpreti di
questi bisogni nuovi degli uomini di oggi, di un incontro e di una
collaborazione che riconoscano, rispettino ed esaltino il contributo e i
valori di cui ognuno è portatore, in uno sforzo incessante di reciproca
comprensione e di comune arricchimento. Vi è qui l'altro dato di fondo,
peculiare e insostenibile, della nostra concezione e della nostra
politica.
Il problema che dobbiamo porre a noi stessi e a tutti è come si
possono affrontare contraddizioni che rasentano ormai l'assurdità - tra
abissi di miseria e culmini di ricchezza, tra spreco degli armamenti e
bisogni elementari insoddisfatti, tra potenzialità del sapere e
meschinità della conduzione politica senza porsi l'obiettivo di una
trasformazione degli attuali sistemi di rapporti tra gli uomini e di una
guida più razionale e più democratica dei processi economici e sociali
sul piano nazionale, europeo e mondiale.
Quale lotta
Che cosa possiamo fare, come partito e come Fgci, per
soddisfare queste esigenza ormai vitali per gli uomini e le donne che
abitano il nostro Paese, il nostro continente e il nostro pianeta,
sventando i pericoli di eventi catastrofici e di intollerabili
dominazioni reazionarie? Per prima cosa bisogna avere delle idee-forza:
la difesa della pace e il disarmo sono una di esse, così come lo è il
"nuovo socialismo", così come lo è il nuovo ordine economico
internazionale.
In secondo luogo dovremmo lavorare per prendere e dare
consapevolezza piena delle contraddizioni nuove del tempo nostro. Far
conoscere a tutti che cosa comporta la continuazione della corsa al
riarmo, quali sarebbero le conseguenze di una guerra combattuta con le
armi atomiche e nucleari. E diffondere i risultati degli studi più
recenti sui problemi del rapporto tra risorse e popolazione, tra
sviluppo e ambiente e così via. Non è molto che scienziati, istituzioni e
anche esponenti politici hanno cominciato a studiare questi temi tipici
del nostro tempo e che domineranno i prossimi due decenni.
Si è cominciato, praticamente, a parlarne all'inizio degli anni
'70: prima, e acnora per tutti gli anni '60, imperava il vacuo ottimiso
del progresso incessante, del benessere che si sarebbe via via diffuso a
tutta la popolazione e a tutte le nazioni. Ma negli ultimi anni, nel
corso dei quali la realtà ha richiamato la necessità di una visione più
lucida del futuro del mondo, un notevole patrimonio di studi si è già
accumulato. Esso non è però ancora sufficientemente conosciuto e
discusso da grandi masse.
A questo proposito avanzo una proposta concreta da realizzare
in un tempo ragionevolmente breve: organizzare, come partito e come
Fgci, un Congresso di fururologia, che si svolga sulla base di relazioni
e comunicazioni di scienziati e di esponenti delle più varie discipline
(scienze fisiche, chimiche, biologiche, antropologiche, demografiche,
militari, economiche, sociali, informatiche, mediche, ecc.); e portare
poi i risultati delle informazioni, valutazioni e proposte, che saranno
fatte in tale Congresso alla conoscenza e alla discussione tra i
giovani.
La terza cosa da fare, la più importante, è quella di
proseguire nello sforzo già in atto per sviluppare tutti quei movimenti
che si fondino sulle contraddizioni aperte, indichino soluzioni
possibili, suggeriscano risultati concreti lungo una via di
trasformazione e contribuiscano nel tempo stesso a migliorare e
arricchire noi stessi nel nostro rapporto con gli altri.
Quando il movimento operaio muoveva i primi passi oltre un
secolo fa, erano le minute rivendicazioni economiche che dovevano avere
il primo posto. La grande battaglia unificante, che divenne
internazionale, fu per le otto ore. Se non si fosse partiti di lì non si
sarebbero certo potute costruire le leghe, i sindacati, il partito
politico.
Oggi quel problema si ripresenta. E torna prepotentemente di
attualità, se si vuole affrontare il tema della disoccupazione nei suoi
aspetti strutturali, la esigenza di una grande battaglia internazionale
per la riduzione dell'orario di lavoro. E' stato giusto che questo
congresso abbia levato su questo tema una richiesta anche nei confronti
dei sindacati.
La qualità dello sviluppo
La piaga della disoccupazione giovanile richiede grandi
iniziative anche a livello europeo e una nuova politica nazionale che
tenda a modificare la collocazione italiana nella divisione
internazionale del lavoro. Ma - dunque - la battaglia per il lavoro
chiede anch'essa specificazioni di qualità: riguardanti il tipo di
sviluppo che è necessario e utile perseguire. Quanto sarà possibile
sostenere una espansione fondata essenzialmente su produzioni, come
dicono gli economisti, "mature" e cioè all'avanguardia, sul lavoro
sommerso, sul permanere di una dipendenza fortissima nella ricerca e nei
brevetti?
Ecco il bisogno economico di misurarsi con la qualità dello
sviluppo. Contemporaneamente, si tratta di un bisogno non soltanto
economico. La necessità di vivere in città meno alienanti e disumane, di
salvare la natura e i beni culturali, di avere una vita culturale più
ricca e piena, di andare ad una scuola il cui insegnamento sia
qualificato; tutto questo viene diventando necessità primaria, come
erano una volta, le necessità di sussistenza.
Ecco perché il movimento ecologico, nei suoi differenziati
aspetti, la volontà di impegno culturale, lo stesso desiderio di
partecipazione attiva al miglioramento della scuola hanno acquistato un
rilievo così grande. Si esprime anche in questo modo una coscienza
critica verso la società in cui viviamo.
Ed ecco perché noi non possiamo pensare di chiamare i giovani
alla politica secondo vecchi contenuti e vecchie forme. Come portare la
grande maggioranza dei giovani alla consapevoleza piena della realtà e
alla possibilità di affrontarla alla luce della ragione. La ideologia
della fine delle ideologie è essa stessa una forma di falsa coscienza e
cioè una ideologia nel senso marxianamente peggiore della parola. Vi è
una pressione forte per un allontanamento di giovani dalla politica.
Giovani generazioni e politica
La prima, essenziale, semplice verità che va ricordata a tutti i
giovani è che se la politica non la faranno loro, essa rimarrà
appanaggio degli altri, mentre sono loro, i giovani, i quali hanno
l'interesse fondamentale a costruire il proprio futuro e innanzitutto a
garantire che un futuro vi sia.
Non è mai stato facile essere comunisti. L'assassinio di
compagni Pio La Torre e Rosario Di Salvo sono la prova più recente che
non è neppure mai finito il tempo in cui bisogna testimoniare persino
con il sacrificio estremo la propria fedeltà alle grandi idee per cui
tanti dei nostri compagni sono caduti. Ma vi sono oggi difficoltà anche
meno aspre e più impalpabili, date dal fatto che i problemi si
presentano in forma diversa e più complessa che per il passato, perché
le contraddizioni medesime della società tendono ad essere non più solo
quantitative ma a riguardare la qualità dello sviluppo, della vita, del
modo di esser donne e uomini, del rapporto tra individuo e individuo,
tra individuo e società.
Alla crisi delle vecchie forme della politica già corrisponde,
se sappiamo vederlo, il nascere di forme nuove di impegno. E queste
nuove forme non derivano soltanto dal fatto che molti partiti siano in
crisi e altri, compreso il nostro, sentano difficoltà, ma derica dal
fatto che avanzano, assieme a questioni nuove, nuove sensibilità.
Vi è, per esempio, un bisogno più grande che per il passato di
veder pienamente utilizzato il proprio tempo e il proprio contributo.
Non possiamo perciò rammaricarci se tanta attività dei partiti,
effettivamente ripetitiva, non viene seguita. Ma vi è anche più
informazione, più spirito critico, più avvertita vigilanza contro i
luoghi comuni, e le frasi fatte. Ecco perché certo vecchio modo di fare
politica oramai respinge nel mentre si sviluppa una spinta grande
all'associazionismo, a forme nuove di aggregazione, a nuovi interessi.
Nella ripresa di tante forme di associazionismo cattolico non vi è
soltanto, il bisogno di certezze che una fede può dare, vi è anche un
grande e attivo impegno operativo intorno a tante cause positive. Le
Chiese sospingono all'impegno nella società e da ciò deriva una
religiosità che non è fuga dal mondo, ma opere e fatti.
Di qui sono venuti e possono venire contributi di notevole
rilievo: innanzitutto al movimento per la pace. Talora, ciò si
accompagna a spinte integraliste ma, quali che ne siano le motivazioni,
bisogna essere attenti alle finalità concrete che vengono perseguite e
vedere quali sono i possibili obiettivi consumi. Occorre non confondere
mai la necessaria lotta contro il sistema di potere democristiano -
sistema di potere che, con buona pace dell'attuale segretario della Dc,
continua ad essere una pesante realtà e non una invenzione dei comunisti
- e la necessità di intendere la complessità delle spinte presenti
nell'area cattolica.
Noi non ci lasceremo impressionare dalla campagna pretestuosa
in base alla quale ogni attenzione nostra verso la realtà cattolica
viene presentata come ricerca di una intesa tra Dc e Pci. Si tratta di
propaganda. Al tempo della solidarietà nazionale noi fummo sempre con i
compagni socialisti dapprima nell'astensionismo, poi nel breve periodo
della maggioranza. Non siamo certamente noi che abiamo praticato la
linea della divisione a sinistra e della intesa separata con la Dc.
Abbiamo dichiarato e ripetiamo, comunque, che quell'esperienza politica è per noi conclusa.
La nostra prospettiva è quella di un'alternativa democrativa al
sistema di potere dominato dalla Dc. E' ed è in questo quadro che si
colloca la nostra ricerca di uno sviluppo del rapporto unitario prima di
tutto con il Psi.
Ma guai se, per timore di una propaganda malevola, noi
dismettessimo la nostra attenzione verso il mondo cattolico. Proprio la
piena conquista di una laicità storicamente costruita ci consente questa
capacità continua di distinzione: volta a cercare di interpretare, nel
campo che è proprio del partito politico, i bisogni del tempo, da
chiunque essi vengono espressi. Non ci sfugge, quindi, che viene anche
dal campo cattolico un bisogno di fare, di agire che corrisponde alla
necessità effettiva di vedere almeno alleviati molti dei problemi
assillanti di tanta parte della popolazione. E' ciò che si chiama il
«volontariato». Il volontariato non è soltanto cattolico. Alle radici
stesse del movimento operaio c'è il moto della solidarietà reciproca;
l'originario costituirsi (prima delle leghe, prima del partito) di
associazioni di mutuo aiuto, di reciproco sostegno.
In molte organizzazioni del volontariato, in ogni campo,
credenti e non credenti lavorano insieme e anche quando le
organizzazioni sono distinte e le aspirazioni ideali diverse, sovente le
finalità di solidarietà umana comuni. E abbiamo visto proprio nei
giorni scorsi, in una riunione nazionale, quante e quanto valide siano
le forze nostre impegnate nelle associazioni volontarie.
Lo sviluppo nuovo e impetuoso di queste antiche e nuove forme
di aggregazione ci insegna tante cose: non certo che si può fare a meno
delle lotte (fra le quali oggi hanno portata decisiva quella per
respingere l'offensiva della Confindustria). Né si può fare a meno dello
Stato o della mano pubblica - come qualche teorico, anche di parte
cattolica, suggerisce - ma certo che bisogna prendere posizione contro
lo statalismo burocratico, che bisogna essere capaci di vedere le
risorse autonome della società e saperle valorizzare in un dialogo
continuo tra istituzioni democratiche e sollecitazioni che vengono
direttamente dalla società.
Lo sviluppo dell'associazionismo e del volontariato indica che
non basta partecipare, bisogna poter contare veramente, bisogna fare,
bisogna contribuire a risolvere questioni reali. «Democrazia» deve
congiungersi con efficienza e «libertà», deve divenire responsabilità e
liberazione...
(Enrico Berlinguer, "Discorso ai giovani", Milano 1982)